Prima di addentrarci nell’affascinante e complesso terreno delle obbligazioni, occorre parlare delrischio e della propensione al rischio: non sempre una obbligazione è meno rischiosa di un’azione, e chi compra certe obbligazioni rischia di più… l’importante è saperlo…
Riteniamo infatti che la quotidianità spericolata vada sempre ridotta al minimo, e avremo presto occasione di parlarne a proposito del money management.
L’immaginario collettivo ritiene comunque che il settore delle obbligazioni sia a basso rischio e le azioni a rischio maggiore.
E’ per lo più vero, ma solo in parte. Lo sanno bene i sottoscrittori di bond argentini o Cirio bond, impelagati in problematiche di recupero e ristrutturazione del credito, che hanno certo sofferto di più dei cassettisti Eni o Mediobanca…
Angelo Drusiani, nell’aureo libretto “Bot e Bond” (ed. Il Sole – 24 Ore), ci aiuta a tracciare una mappa ideale di quella che abbiamo chiamato la sub-galassia dell’investitore.
I Bot, com’è noto, sono il rifugio preferito dagli italiani, vengono periodicamente costruiti e riproposti in base all’andamento dei tassi, non esaltano troppo l’investitore, ma non deludono mai: il miglior parcheggio. Sullo scenario dei fondi, corrispondono, a seconda della durata (dai 6 ai 12 mesi), ai monetari o di liquidità e, parzialmente, ai breve termine, variamente denominati dalle società emittenti.
I Ctz, assai simili nella struttura (cedola zero e rimborso di capitale più interessi a scadenza), protraggono la durata a 18 e 24 mesi. Ma attenti: più la durata si prolunga, più il rischio di perdere, o l’opportunità di guadagnare, aumentano. Per cambiare le carte in tavola, è infatti sufficiente un improvviso aumento o un calo dei tassi, come un’impennata o un crollo delle borse. Tuttavia, va detto, l’orizzonte temporale di 24 mesi, in genere, non crea grossi problemi…
I Cct durano parecchi anni, ma ogni tre mesi modificano il rendimento sulla base dell’andamento dei Bot. Offrono la cedola, equivalgono a questi ultimi ed evitano la noia e il costo dei rinnovi obbligatori ogni 3, 6 o 12 mesi.
I Btp, infine, possono arrivare fino a 30 anni di vita e incorporano notevoli rischi, come altrettanto notevoli possibilità di guadagno. Drusiani ci segnala infatti che il Btp 1.11.2023 è passato da un minimo di 69 a un massimo di 140. Questo è un range degno delle azioni più volatili. Tracciamo una mappa del rischio dei prodotti obbligazionari governativi italiani, partendo dal prodotto più tranquillo a quello più agitato:
Bot da 3 mesi a un anno, Cct, Ctz e Btp, dal più breve al più longevo.
Sul versante dei fondi: monetari o di liquidità, breve termine, medio termine, lungo termine.
Accettato che anche le obbligazioni governative a lungo termine siano talora rischiose quanto i titoli o i fondi azionari – perché i tassi, o qualche altro sentiment, possono mutare negli anni – eccoci alla prima regola prudenziale: oltre una certa durata dei bond, non si può stare del tutto tranquilli, a meno che non se ne faccia un accorto trading. E questo è un altro discorso, molto complesso, che comunque tratteremo.
Al di là dei bond governativi e dei fondi che su di essi poggiano, passiamo rapidamente alle obbligazioni bancarie, emesse appunto dai principali istituti di credito, spesso suddivise in due o più classi.
È qui già il caso di parlare di rating, di liquidità e di quotazione.
Se acquistiamo un titolo con un buon rating, ossia con il massimo voto di affidabilità (“è un debitore di cui ci si può fidare…”), come “AAA” e “Aaa” emessi dalle principali agenzie (S&P, Moody,s, ma anche Fitch e altri operatori indipendenti), siamo tranquilli. Se il voto è più basso, in genere le obbligazioni rendono di più, ma con qualche tremore supplementare sulla solvibilità dell’emittente.
Consideriamo che lo Stato italiano non si aggiudica il massimo voto delle prime due agenzie, ciò soprattutto per l’elevato debito pubblico.
Un bel po’ al di sotto, fanno capolino i junk bond, o “titoli spazzatura”, che offrono molto, ma con i quali si rischia altrettanto. In linea di principio, sono da evitare con cura, ricordando però che recentemente Warren Buffet ha affermato di esserne un discreto acquirente. Precisando anche che effettivamente è orientato ad acquistare persino titoli di aziende che abbiano richiesto il “chapter 11” (protezione dai creditori, prevista dalla normativa Usa), ma solo dopo settimane-mesi di analisi approfondite.
Viene poi la liquidità: anni fa, un operatore finanziario aveva precisato che un’obbligazione è liquida (ossia comprabile/vendibile velocemente a prezzi stabili) se viene scambiata ogni giorno per almeno 500 milioni di vecchie lire.
Infine, la quotazione: un buon requisito per le obbligazioni è che ogni giorno sia possibile verificarne il valore sui siti o sui quotidiani finanziari.
Ma, attenzione: un titolo quotato può esser non-liquido, e viceversa. Chi non vuole rischiare ricerchi contemporaneamente un buon rating, la quotazione e la liquidità.